“Disguise of the species”è il disco d'esordio dei Glass Cosmos, band formata da quattro amici (Francesco Bianchi, voce – Florian Hoxha, chitarra – Francesco Arciprete, basso e seconde voci – Matteo Belloli, batteria) che hanno iniziato a fare musica insieme nel 2011 dopo la fine di altre esperienze musicali. Il lavoro raccoglie undici tracce che mescolano new wave e alternative rock gravitando attorno al tema del tempo visto come un cuscinetto che media tra un sentimento forte appartenuto al passato e la presa di coscienza del presente, nel quale proprio il tempo trascorso dà la possibilità di avere una visione critica e lucida di quello che fu.
Di questo parla il primo singolo con video “Chrono”, che nei mesi scorsi si è guadagnato un'ottima visibilità in rete (oltre tredicimila le visualizzazione su YouTube) e di questo parlano la maggior parte dei brani del disco, che gettano uno sguardo ad alta intensità emozionale su storie private o dal carattere maggiormente sociale. “Shines in its own light”, ad esempio, esprime il forte desiderio di riappropriarsi della città in qui si vive e dei suoi luoghi, che in passato avevano rappresentato la cornice di una storia d’amore; mentre in canzoni come “O tempora, o mores” e “Redemption is a pathway to nihilism” il punto di vista – non universale, ma di certo molto comune – è quello di un giovane neolaureato che in un misto di disillusione e voglia di rivalsa scopre come lo studio e la fatica spesso non bastino a realizzare i propri sogni.
Ma i brani dei Glass Cosmos gettano anche uno sguardo più ampio sulla realtà, come nello strumentale “The Bilderberg Club” che vuole attirare l’attenzione sull'omonimo club di banchieri, capitalisti e white collars che periodicamente si riunisce al di fuori di ogni reale controllo politico e decide l'andamento economico delle nostre vite. Oppure in “Libreville”, dove il nome della capitale dei Gabon viene ripreso per immaginare una città libera e ideale alla quale tendere con le proprie forze ma anche attraverso un percorso di emancipazione laica.
E nel raccontare le loro vite di individui o il mondo intorno i Glass Cosmos utilizzano una serie di citazioni più o meno popular che vanno dal Cicerone di “O tempora, o mores” fino al Beckett di “Aspettando Godot” in “Last night I killed Godot” passando per la ripresa di un celebre quadro di Renè Magritte (“L'illusione collettiva”, 1934) nella surreale copertina del disco. Quest'ultima si ricollega anche al titolo dell'intero lavoro, che nasce ancora una volta da una citazione: la “Disguise of the spieces”, cioè il camuffamento anziché l'evoluzione della specie di Darwin, è quella di molti gruppi attuali che rinunciano ad una loro personalità inseguendo invece i fenomeni del momento, proprio come la sirena “rovesciata” in copertina che vorrebbe essere un pesce ma invece non lo è. A ciò i Glass Cosmos oppongono la loro voglia di Essere piuttosto che appartenere, una volontà che si traduce in un sound mesmerico punto d'incontro delle due anime della band: la new wave e il post punk da una parte, tutto chitarre luminescenti e bassi poderosi; il rock e il glam rock dall'altra, che dà vita a ritmiche serrate e momenti molto dinamici. A cui si unisce un songwriting dalle linee melodiche emotivamente cariche e sempre coinvolgenti che fanno di “Disguise of the species” un disco sorprendente e evocativo.
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